5a domenica di Quaresima - 26 marzo 2023
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Dal Vangelo di Giovanni
In quel tempo un certo Lazzaro di Betània, […], era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire (a Gesù): «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, […], si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!».
Mi lascio ispirare
Tristezza - Un grido per la vita
Gesù piange e si commuove profondamente. La morte di Lazzaro è per lui un momento particolarmente intenso. Sappiamo da altre pagine del Vangelo che erano amici e insieme con i giudei ci sentiamo di poter dire: «Guarda come lo amava!». Gesù è triste, come lo siamo noi quando muore una persona che ci sta a cuore, viene meno un legame importante, lasciamo un’esperienza bella o ci sentiamo particolarmente vulnerabili. D’altra parte, la tristezza è anzitutto un segnale del nostro amore, di quanto teniamo a una persona, a una relazione, a un’esperienza e a buon diritto possiamo riconoscerla e viverla, lasciando che il cuore ami anche in questo modo. Quell’emozione che invece a volte ci porta a chiuderci se non anche ad arrabbiarci e a diventare duri o acidi verso la vita e le persone – spesso quelle più vicine! – Gesù la trasforma in occasione di vita più grande, di attenzione non tanto a sé stesso ma agli altri. Egli sa trasformarla in forza ed energia per la vita, perché «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Ed ecco, allora, che chiama alla vita il suo amico e non per un egoismo personale, per poter stare ancora in serena compagnia con lui, ma per aprire alla vita vera il cuore di tutti i presenti, che sembrano morti anche loro, perché incapaci di vedere oltre. Marta e Maria, gli amici e i conoscenti di Lazzaro, sono chiusi in una tristezza che fa disperare e che Gesù desidera sciogliere per sempre: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà». Ed ecco che il suo pianto sfocia in un grido per la vita di tutti: «Lazzaro, vieni fuori!».
Rifletto...
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Quali legami posso vivere con più libertà, così da vivere un amore più grande? Posso lasciarmi spogliare dalla vita coltivando la fede nel Signore Gesù, credendo che “anche se muoio vivrò”.
Tristezza, malinconia, mancanza, ci dicono che non bastiamo a noi stessi
“Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?”, canta il poeta Mario Luzi. È una domanda bellissima, ma chi potrà ancora porsela? Nel mondo globalizzato in cui viviamo, con una apparente spensieratezza, evitiamo di fare veramente esperienza della tristezza e della mancanza, sentimenti profondamente umani, associati ad un vissuto di perdita, non solo di persone care, ma anche di status, salute, obiettivi, valori. Il pianto stesso, che può essere un indicatore di tristezza intensa, aiuta ad esprimere agli altri ciò che proviamo e segnala loro il bisogno di vicinanza e aiuto. Altra funzione importante della tristezza è quella di consentirci il raccoglimento, promuovendo la riflessione e l’analisi profonda sugli eventi della nostra vita, con la possibilità di cercare un senso a quello che ci accade o al nostro dolore. È quindi fondamentale per elaborare gli eventi spiacevoli che ci accadono ed ha anche la potenzialità di agire come stimolo al cambiamento. Per consentirci di sentire la nostra tristezza ed esprimerla, dobbiamo poter dire a noi stessi e agli altri che, quantomeno in uno specifico momento, siamo vulnerabili, che non bastiamo a noi stessi. Ci si scopre mendicanti di senso ed aperti alla beatitudine dei poveri in spirito (Mt 5,3).
Una voce dal Kenya
John e Veronica sono due infermieri che lavorano in medicina e si dedicano ai pazienti bisognosi di cure palliative. Un giorno vengono in ufficio con una richiesta. Mi raccontano della loro esperienza, di come mantengono il contatto telefonico con alcuni pazienti che l’ospedale dimette perché sprovvisto del reparto per i malati cronici e come nel tempo libero prendono il ‘matato’ per andare a trovarli portando loro qualche medicina. Si commuovono parlando di queste persone che spesso sono condannate a morire perché incapaci di pagarsi le cure e di come si sentono abbandonati. I due infermieri desiderano così coinvolgere anche l’ospedale e implorano di poter fare di più. Condivido con loro l’iniziativa, ma purtroppo mi trovo a spiegare che l’ospedale non ha le forze sufficienti per organizzare un sostegno per questa necessità. Se ne vanno sconsolati ed io con loro. Alla sera ripenso a questa sofferenza e mi dico: “Ma che stupido sono! Certo che abbiamo le forze, la Provvidenza provvederà”. Nelle settimane seguenti mi metto in contatto con due donatori e grazie ad un’offerta, avviamo il sostegno di questi ammalati che ci fa scontrare con una realtà di sofferenza e miseria. Anche il personale dell’ospedale decide di coinvolgere le proprie comunità raccogliendo beni e soldi per le famiglie degli ammalati. Questa è la perla vera: mettersi insieme nella compassione.
Don Sandro - Fidei donum
mpara a leggere la tristezza. Nel nostro tempo è considerata solo un male da fuggire a tutti i costi, e invece può essere un indispensabile campanello di allarme, che ci invita a esplorare paesaggi più ricchi e fertili che la fugacità e l’evasione non consentono. A volte la tristezza lavora come un semaforo, ci dice: è rosso, fermati! Accoglila, sarebbe molto più grave non avvertire questo sentimento. (Papa Francesco)