Palme/Settimana Santa/Pasqua - 2/9 aprile 2023
Appuntamento con il Risorto
Mi presento: sono Maria, sono nata a Magdala, una piccola cittadina sulla sponda occidentale del lago di Tiberiade. Per questo mi chiamano la Maddalena. È vero, la mia vita non brilla per chiarezza, nemmeno per virtù. La mia vita brilla per liberazione. Sette erano i demoni dentro di me. “Inumana”. Così mi chiamavano nel villaggio. Non sembravo io. Mi temevano. Avevano paura di me. Tutti stavano alla larga da me. Davvero era qualcuno di inumano. Non riuscivo a comunicare bene, non riuscivo ad incontrare gli altri, li facevo scappare, li intimorivo. Mi stavano alla larga. Tutto ciò mi rendeva sola. Una solitudine che mi spaventava. La mia vita brilla per liberazione: Gesù mi ha tolto questo peso. Mi ha tolto da questa ‘inumanità’. Lo ripeto: sette erano i demoni. Quasi che mi placassero uno ogni giorno per tutta la settimana.
“Il primo giorno dopo il sabato” per me non fu un giorno. Fu un momento della mia vita unico: fuori dal normale. Non in preda a nessun legame. Nessun spirito maligno aveva il potere su quel giorno e su di me, perché gli spiriti cattivi erano stati tolti tutti da Lui. Da quel giorno in cui Gesù mi ha liberata, mi trovo capace di un’umanità bella. Mai avrei pensato che questa liberazione era per incontrarlo in quel giorno “senza fine”. Mai avrei realizzato che questo mio essere, carico di emozioni di cui stavo facendo piano piano esperienza, fosse stato pensato per l’appuntamento con il Risorto. Se non avesse liberato le mie emozioni, lo avrei davvero incontrato in quell’alba di quel nuovo giorno?
Io sono stata affascinata da Lui. Da subito. Qualcuno avrà pensato anche male di me. Lo so per certo. Ma gli ho sempre voluto bene. Ho cominciato a capirlo da subito, per questo l’ho seguito e l’ho aiutato con tutto quello che potevo. In modo particolare negli ultimi giorni della sua vita mi sembrava di essere dentro ai suoi sentimenti. Le sue emozioni intercettavano le mie e le mie intercettavano le sue.
Che imbarazzo provò Gesù quando entrò a Gerusalemme! Tutti lo ritenevano un Messia liberatore. Avvertivano che in Lui c’era futuro rispetto a quello che ci proponeva Roma che stava invadendo le nostre terre. Lo acclamarono come Re. Gli stesero i mantelli rossi. Alzarono le palme. Lo osannavano. Lui però vedeva in quella folla anche il loro voltargli le spalle. Umile. Ho intercettato il suo imbarazzo quando entrò dritto nel Tempio appena giunse a Gerusalemme. Non fece nessun discorso in quel giorno solenne. Andò nella casa di suo Padre. Si fece vedere per un po’ dalla folla su di un asinello. Ma subito dopo si nascose nel Padre per tentare di fare la sua volontà e non aderire alla volontà della folla. Anch’io, quand’ero preda dei demoni, facevo quello che volevano gli altri! Ora l’imbarazzo mi dice che sono libera! Mi imbarazzo quando sono di fronte a ciò che gli altri vorrebbero e io non vorrei! E anch’io faccio come Lui. Scelgo di entrare nel Tempio e di ascoltare il mio imbarazzo. Da quando sono libera, ho imparato ad ascoltarlo.
La sera della cena il mio Signore spiazzò tutti. Fece come gli schiavi. Creò una sorpresa nel cuore dei suoi amici. Lui non era il Messia che avevano acclamato nei giorni precedenti. Piantò nel cervello dei suoi discepoli questa sorpresa e con stupore la fece diventare anche pane e vino. La sorpresa era che Lui si era fatto servo di tutti. Pane per tutti. Non un Messia di forza, ma d’amore. “Prendete e mangiatene tutti” questo mio corpo lava i vostri corpi che hanno camminato e faticato.
Giuda, un amico suo che lo stimava molto, si arrabbiò così tanto con Lui dopo quella fuoriuscita del pane e del vino, della lavanda dei piedi, che la rabbia non gli permise di capirlo. Il fascino per Lui fu trasformato in odio dalla rabbia stessa! Cominciò ad odiarlo. Ad odiarsi. Ne parlammo tra noi donne dopo quell’evento, e capimmo quanto forte fosse la rabbia. Tanto da commutare il fascino in odio. Il gesto di Giuda fu il risultato di una sua rabbia non espressa lungo il tempo. Fu un atto così forte quello di consegnare Gesù e di impiccarsi, da far star male tutti noi. Perché la rabbia è tanto amore, ma contorto, inespresso, tale da commutarsi in odio. Anche noi ci arrabbiammo con Giuda per quello che aveva fatto: capimmo che ci si può arrabbiare per ciò che è male! E lo accettammo questo pensiero e liberammo questa emozione facendola esistere. Fummo arrabbiati pure noi. Con Giuda.
Dopo che il Pastore fu percosso, le pecore si dispersero. Eravamo noi le sue pecore, in preda all’ansia. Dispersi tra di noi. Avevamo paura che i Giudei venissero a prendere pure noi. Pietro ci raccontò della sua ansia e che scherzi gli aveva fatto. Arrivò a rinnegare il Maestro. Questo lo distrusse. I suoi amici fuggirono e si rinchiusero per giorni in quella sala al piano superiore. L’ansia è quel flusso che vuole tenere tutto sotto controllo e non ce la fa. Ma come si fa a tenere sotto controllo il Figlio di Dio e la sua vicenda con gli uomini? Ci vennero in mente le sue parole, proprio mentre lo interrogavano di notte: «Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?» (Mt 6, 25-27)
In quella stanza, dopo la sua morte, fummo tutti tristi. Avevano ucciso il nostro amico, il Maestro, il Signore. Giovanni ci raccontò che nell’orto degli ulivi, quella sera, anche Gesù provò tristezza e angoscia. Come ci sentimmo simili a Lui in quel momento! Come lo sentimmo simile a noi! Forse, lo sentimmo così, proprio perché era davvero come noi: uomo. Mortale. La sua morte ci aveva colmato di tristezza. E la sua tristezza ci parlava della sua mancanza. Già: ci mancava un sacco. La tristezza uccide. Toglie la vita. Se ci stavamo dentro senza venirne fuori, non eravamo più noi. L’ho vista negli occhi di Pietro, al ritorno di quel rinnegamento. Non riuscimmo più a togliergliela. Almeno, noi non ce l’abbiamo fatta. Non era più lui! Gesù, solo Lui riuscì in quel giorno, su quel lago, dopo la pesca miracolosa, con quel dialogo sull’amore.
Dopo la Parasceve, andai in quel giardino. Da sola. Incontrai il giardiniere. Era il luogo dove avevamo incrociato gli uomini in bianche vesti che ci avevano detto che Gesù era risorto. Gli chiesi dove aveva messo il corpo di Gesù. «Maria». Lui! Il giardiniere era Lui! Mi chiamò come nessuno mi avesse mai chiamata! Allora capii perché mi aveva liberato dai sette demoni: per questo appuntamento di gioia con Lui, il Risorto. In quella gioia c’era tutto: l’imbarazzo di quell’incontro, la tristezza di averlo perso per sempre, l’ansia di non saper reggere senza di Lui, la rabbia per quello che gli avevano fatto, ma anche la sorpresa di quel Giardiniere, il mio Signore! Le emozioni sussultarono tutte nel groviglio della gioia: Lui mi ha liberata per questa gioia. Lui me le ha liberate per questa gioia. Lui mi ha permesso di ascoltarle per questo incontro. Solo queste mi conducono alla Pasqua! Via privilegiata per l’appuntamento con Lui, il Risorto.