18 febbraio 2024 - 1a domenica di Quaresima
Aver cura con tatto
Rinnovo l'amicizia con il Signore e accolgo il creato come dono della sua alleanza.Una voce dal Brasile
Stavo percorrendo in macchina la strada verso Caracaraí: i pensieri si moltiplicavano dopo un dialogo durato più di due ore per programmare un insieme di azioni in difesa del Rio Branco, dove il governo vuole costruire una grande diga per produrre energia elettrica. Quante volte ho avuto la possibilità di camminare in mezzo alla foresta dell’Amazzonia e lasciarmi accarezzare da essa. Inoltrandomi in un sentiero mi piace percepire il vento fresco tra gli alberi e raccogliere le foglie verdi: alcune più ruvide e dall’odore acre e altre vellutate e dal profumo delicato. Sfregandole tra di loro ne respiro l’essenza. Cerco di mettere in ordine questi pensieri che entrano attraverso tutto il corpo e sento il profondo desiderio di usare le mie mani perché questa carezza non finisca sommersa da un’acqua recintata e soffocata dentro lo spazio di un lago artificiale. L’auto continuava a correre verso casa e non mi ero accorto che nel frattempo era iniziata una pioggia fine sotto il sole. Che meraviglia! È comparso un arcobaleno ai piedi della Serra Grande a fare da ponte tra il cielo e la terra: segno dell’alleanza che Dio vuole continuare a costruire con l’umanità.
Don Luigi Turato, Fidei donum
Entro nel testo
Genesi 9,8-15
Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca, con tutti gli animali della terra. Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra». Dio disse: «Questo è il segno dell’alleanza, che io pongo tra me e voi e ogni essere vivente che è con voi, per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il segno dell’alleanza tra me e la terra. Quando ammasserò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi, ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e ogni essere che vive in ogni carne, e non ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne».
so-stare su...
…un momento in cui mi sono preso cura e ho usato gentilezza per ciò che è fragile sia nei confronti di me stesso che del creato…
…quando ho scoperto la bellezza di portare dentro a un’esperienza non solo me stesso ma anche altri e ho iniziato ad usare il pronome “noi” e non soltanto “io”…
…un’occasione in cui ho potuto toccare con mano che mi è stata data una nuova possibilità…
Mi metto in ascolto
Ogni volta che, dopo un temporale o un acquazzone, vedo spuntare l’arcobaleno, non posso non fermarmi ad ammirarlo con quello stupore per cui le spiegazioni scientifiche non bastano. Dio è il Signore dell’arco deposto, uno strumento di offesa che si fa spazio di relazione, cura, custodia, amore, da cui nessuno e nulla resta escluso. È un segno ben visibile, dono divino e compito di responsabilità per ogni uomo e donna che vive sulla terra. Nel momento in cui il cielo si fa buio, sensazioni e sentimenti sono negativi, il futuro non ci sembra promettente, l’arcobaleno è il promemoria, che Dio pone a noi (e persino a se stesso): non è il momento di azzerare tutto, di condannare e condannarci, di chiuderci in noi stessi, ma di impegnarci ancor di più e legarci con più forza alla fiducia che fa vedere, proteggere, crescere quei germogli che, seppur piccoli e fragili, generano vita nuova e abbondante. Mano di Dio e mano dell’uomo sono chiamate a intrecciarsi e collaborare, nel prenderci cura del mondo che ci è stato donato, perché la terra abiti nel cielo e il cielo abiti nella terra. Per questo siamo invitati ad abbandonare la logica del “mio” e “tuo” e a sentirci partecipi e corresponsabili del “nostro”, abbracciando il sogno di un male che sia vinto con il bene (cf. Rom 12,21) perché “chi desidera vedere l’arcobaleno, deve imparare ad amare la pioggia” (P. Coelho).
Diamoci un senso
Poggiare il palmo sulla corteccia di un albero, far scivolare il dorso delle dita sulla guancia di un neonato, stringere la mano della persona amata, ricevere l’abbraccio di un amico… Ci sono esperienze che passano attraverso le nostre mani che significano tanto e che, nel bene o nel male, toccano in profondità il nostro cuore. C’è perciò un toccare da evitare (cf. Gen 3,3: l’albero in mezzo al giardino dell’Eden), quando nasce da un desiderio disordinato e dice un volersi appropriare, un’invasione di campo, l’andare oltre i limiti consentiti… E c’è un toccare che fa bene all’altro prima che a se stessi. «Gesù, tese la mano, lo toccò dicendo: “Lo voglio: sii purificato!”» (Mt 8,3). La mano di Dio tocca e risana, si stende e crea, si poggia e dà vita. Il tocco che ha il sapore di Dio trasmette tenerezza, calore, rispetto, sicurezza, cura… Sia verso la natura, sia verso l’altro.
Un'esperienza che trasforma
La nostra situazione qui peggiora
di giorno in giorno: i ricchi moltiplicano
i loro piani per sterminare i poveri, riducendoli alla fame.
Ma Dio è buono con il suo popolo.