13/20 aprile 2025 - Settimana Santa/Pasqua

L'ultimo pellegrinaggio di Gesù

Di don Giorgio Ronzoni

Ai tempi di Gesù, tutti gli ebrei maschi avrebbero dovuto salire a Gerusalemme tre volte all’anno, anche se magari alcuni ci andavano una volta sola, e con le loro famiglie. Il pellegrinaggio si chiamava in ebraico regalim, da regel = il piede, perché si andava a piedi. I Galilei ci mettevano cinque giorni camminando lungo il Giordano per potersi lavare ed evitare i Samaritani. Da Gerico (250 m sotto il livello del mare) salivano a Gerusalemme (800 m di altitudine) cantando i Salmi delle ascensioni (120-134), perciò il pellegrinaggio era chiamato anche ‘aliyah = salita, in senso geografico e spirituale. Arrivati a Gerusalemme, prima di entrare nel Tempio, era d’obbligo il bagno rituale e dopo la purificazione si comprava un animale da offrire in sacrificio. Quando Gesù arriva a Gerusalemme per l’ultima volta, i pellegrini Galilei lo fanno entrare in trionfo come Re-Messia. Da Betania prendono la strada che aggira il Monte degli Ulivi da nord; a metà strada, a Betfage, Gesù sale su un animale che non era mai stato cavalcato da nessuno, come facevano i re. Ma i re cavalcano cavalli, animali da guerra: chi ordina la carica a cavallo di asini? Gesù invece si presenta come un Re-Messia di pace. Anche i giudici di Israele e i primi re fino a Salomone cavalcavano asini o muli, però bianchi: i re successivi si sono insuperbiti e sono passati ai cavalli. Gesù si presenta quindi come vero discendente di Davide che riporta la monarchia alle sue origini, prima della decadenza. Il corteo prosegue scendendo dal Monte degli Ulivi verso il torrente Cedron passando vicino al podere detto “il Torchio” (Getsemani) dove Gesù e i discepoli prudentemente andranno a dormire in quella settimana, fuori dalle mura della città. Attraversano il torrente e risalgono il monte Sion entrando nel Tempio da est, per la porta di Susa che dà sulla facciata. Nel tratto finale, a mo’ di tappeto rosso i pellegrini stendono davanti a Gesù i loro mantelli e rami di palma, mentre lo acclamano. A questo punto i capi temono una sommossa e la reazione violenta dei Romani: Gesù è diventato ormai un pericolo per la nazione. Inoltre entra nel tempio come se ne fosse il padrone, “purificandolo” dalla presenza dei venditori di animali e dei cambiavalute: i sacerdoti sentono messo in discussione il loro potere e decidono di farlo morire. Da qui in poi, però, tutto cambia: il pellegrinaggio di Gesù, la sua “salita”, si riveste di forme e significati nuovi. Nella notte del giovedì santo Gesù compie un gesto di purificazione non con un bagno rituale, ma lavando i piedi ai suoi discepoli. Non compra un agnello da offrire in sacrificio, ma offre se stesso, il proprio sangue, per rinnovare la Pasqua. Infine la sua “salita” si compie sulla croce: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). E da qui, nella sua resurrezione, “sale” ancora più in alto: «Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (Gv 20,17); «Cristo infatti non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore» (Eb 9,24). Questo suo pellegrinaggio dà inizio alla speranza cristiana che non è, come nel linguaggio comune, il desiderio di un bene incerto. Speranza cristiana è l’attesa del compimento delle promesse di Dio, in particolare del ritorno del Signore glorioso: «Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo» (At 1,11).